UN'ARTE OSCURA E VISIONARIA

Frutto di una mente adombrata da una confusa sensibilità, l’arte di Zdzisław Beksiński si è dimostrata mutevole ma costante nel trasmettere un intenso senso di soffocamento.

Una linea di disperazione e morte lega infatti ogni fase della sua produzione, nonché una necessità insondabile di rappresentare il noumeno dietro il fenomeno della vita.

Il percorso dell’artista, ostinato nell’inseguire i dettami del proprio pensiero, lo porta quindi in un mondo asettico, oscuro e surreale. Un mondo i cui abitanti hanno perso se stessi e la loro individualità. Annichiliti, ma al tempo stesso amalgamati nella realtà in cui esistono, negli oggetti della loro quotidianità, nei palazzi. Intenti a rimarcare un’emotività anacronistica, abbracciandosi, baciandosi, molti soggetti del pittore, straziati nella carne e nella fisionomia, stonano con il luogo e con loro stessi. Uomini che nella loro fine non trovarono pace, uniti indissolubilmente alle frustrazioni della loro vita, oramai lontana.

Le deformazioni corporee, accennate nella scultura e nella fotografia, si radicalizzano nelle pennellate dei suoi quadri, divenendo ora macabre mutilazioni. La corporeità, nel Beksiński pittore, si fonde completamente con l’anima del soggetto: uno specchio del nulla. Le ossa, il sangue, per l’artista traslano dal loro significato fisico, mutando nel simbolo di un’umanità decaduta, oramai indistinguibile dalle fiamme stesse dell’inferno in cui giace da tempo; forse da millenni. I quadri sembrano infatti richiamare un’epoca indefinita nel futuro, nel quale egli, differenziandosi dalle avanguardie del suo tempo, non vede nient’altro che oblio e angoscia. I colori sono spenti, freddi, a sottolineare ancora di più l’atmosfera tragica delle sue opere.

Beksiński tramite la sua arte ci mostra la desolazione di ciò che non è più umano; e che non potrà più esserlo.


 

Zdzislaw Beksinski, Untitled

Zdzislaw Beksinski, Untitled

 

 

 

 

 

Zdzislaw Beksinski, Untitled (1958)

 

 

 

 

 

 

 







IL PERIODO BAROCCO E IL PERIODO GOTICO

Beksiński stesso classifica la sua arte in due periodi: dal ’58 ai primi anni ’70 e dal ’71  fino alla morte.

Il periodo barocco vede un maggiore impegno verso la pittura. Questo primo periodo contiene tratti espressionisti nei colori e surrealisti nelle architetture. Le sue opere non hanno un titolo, le classificò con codici o descrizioni anonime. Si caratterizzano inoltre per le grandi dimensioni.

Zdzislaw Beksinski, Untitled (1984)

 

Il periodo gotico ha come data di inizio, secondo lo stesso Zdzisław, il 1971 e si compone da opere realizzate ad olio su masonite. Questo secondo periodo si caratterizza per toni molto più scuri e costruzioni astratte con rimandi al formalismo.

Il suo passaggio dalla fotografia alla pittura ha origine da una leggenda: secondo Zdzisław l’ispirazione per le sue tele gli sarebbe venuta in seguito a un grave incidente d’auto nel ’70, che lo ridusse in coma per un periodo di tre mesi. Dopo questo incidente l’artista sostiene di aver visto l’Inferno e di aver la necessità di rappresentarlo per non impazzire. Una curiosità è che Zdzisław riusciva a dipingere solo con l’ausilio della musica classica.Zdzislaw Beksinski, Untitled


 

LE OPERE

È un rappresentante della corrente del surrealismo dispotico: arte che rappresenta un’ipotetica società dove molte percezioni negative sono portate al loro limite estremo.

Le sue opere sono spesso collegate a quelle di Ernst Fuchs e Alfred Kubin per le atmosfere. Per quanto riguarda la maestria degli effetti di luce e dei chiaroscuri viene sempre avvicinato al grande maestro William Turner.

Prende in prestito da Magritte la frase:

«The purpose of art is mystery»  e proclama che:

«Meaning is meaningless for me. I do not care for symbolism and I paint what i paint without meditating on a story. Simply, I do not know myself. Moreover, I am not at all interested in knowing.»


Zdzislaw Beksinski, Untitled

 

IL LASCITO - RIFLESSIONI

Beksiński, prima della sua morte, ha lasciato in eredità la sua intera produzione artistica al Museo storico di Sanok. Dal 2005, il museo ha inoltre ricevuto gli ultimi lavori dell’artista, che contano 20 dei suoi ultimi dipinti, circa 1.000 fotografie e grafiche, decidendo inoltre di creare un’ala separata nel castello reale di Sanok al fine di creare una galleria. Attualmente la Galleria contiene quasi 300 opere dell’artista (oltre a dipinti, fotografie e disegni).

Una particolarità nelle opere di Zdzisław Beksiński è la denominazione. L’artista, infatti, preferì non dare un titolo ai suoi dipinti, classificandoli con codici o descrizioni anonime e lasciando quindi l’osservatore libero di interpretarli a sua discrezione.

Nonostante possiedano dei tratti stilistici comuni, le opere dell’artista si differenziano per il differente significato allegorico che possiedono. Tra le varie, degna di nota è l’opera qui affianco. Il dipinto, senza titolo, ci mostra l’archetipo dell’uomo Beksińskiano. I tratti umani, interamente svaniti, vengono soppiantati dalle ossa sporgenti di una figura grottesca e macabra. Intento a suonare uno strumento a fiato (un clarinetto), il soggetto si mostra totalmente immerso nel proprio compito. La fisionomia facciale è del tutto assente, ad eccezione della bocca che, seppure deformata, continua a prestare supporto all’esecuzione musicale. L’intero corpo del musicista, inoltre, sembra piegarsi e fondersi nella moltitudine delle proprie dita, intente anch’esse a suonare lo strumento. Centrale nel dipinto, l’ammasso scheletrico formato dalle innumerevoli dita della figura sostituisce l’espressività facciale nel rappresentare lo sforzo e la sofferenza. In Beksiński l’utilizzo di espedienti visivi legati al macabro non sono infatti per puro estetismo, ma per rivelare un’emotività insondabile, impenetrabile, mai “popolare”, e sempre staticamente in moto. I colori oscillano tra il marrone e l’ambra accentuando la putrefazione del soggetto, regredito ormai ad una forma ancestrale legata alla terra e alla morte. L’idea che sembra emergere dal dipinto è quella di un uomo schiacciato dal peso dei propri doveri, forse delle proprie ossessioni, che neanche di fronte alla fine dell’esistenza sembrano lasciarlo andare.