Daniela Moroni

Restauro Madonna del Cardellino

 

La Madonna del Cardellino è un dipinto a olio su tavola (107x77 cm) di Raffaello Sanzio, databile al 1506 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.

Madonna del Cardellino

Storia

Il dipinto, secondo quanto testimonia Vasari, fu realizzato a Firenze per Lorenzo Nasi, ricco commerciante di panni di lana, in occasione del suo matrimonio con Sandra Canigiani, donna appartenente all'alta borghesia di Firenze. La coppia abitava nella scoscesa Costa San Giorgio e il 12 novembre 1547 l'abitazione franò. Nelle macerie fu ritrovato il dipinto di Raffaello in diciassette frammenti, che furono recuperati e affidati al restauro, forse incaricando Michele di Ridolfo del Ghirlandaio.

L'analisi ai raggi X ha dimostrato infatti le fratture tra i pezzi, riassemblate con chiodi e colmate da nuova pittura. Vasari si dilungò nell'elogiare questa opera, l'unica del periodo fiorentino descritta con ampiezza nelle Vite.

Entrata nelle collezioni del cardinale Giovan Carlo de' Medici nel 1666, confluì infine agli Uffizi. Nell'inventario redatto alla morte del cardinale l'opera era stimata 600 scudi, un costo record, tra i più alti dell'intero lotto di dipinti. Si trovava nella Tribuna nel 1705 e a metà dell'Ottocento era una delle opere più ammirate e copiate della galleria, particolarmente apprezzata dal gusto perista del tempo.

Un sorprendente restauro si è concluso nel 2008.

Si conservano alcuni disegni preparatori all'Ashmolean Museum (P II 517, P II 516, P II 634). Dell'opera inoltre esistono numerose copie antiche, che ne attestano il successo e la fama; le migliori sono al Victoria and Albert Museum, nella sacrestia dell'Abbazia di Vallombrosa e in una collezione privata.

Descrizione e stile

Immersi in un ampio paesaggio fluviale dall'orizzonte contornato da alberelli e da un ponte a sinistra, si trovano la Madonna seduta su una roccia, che regge tra le gambe Gesù Bambino, mentre san Giovannino, abbracciato dalla Vergine, è a sinistra. I due fanciulli giocano con un cardellino (Giovanni lo regge e Gesù lo accarezza), che simboleggia la Passione di Cristo.

La composizione, sciolta e di forma piramidale, con i protagonisti legati dalla concatenazione di sguardi e gesti, deriva con evidenza da modelli leonardeschi, come la Sant'Anna, la Vergine e il Bambino con l'agnellino, ma se ne distacca sostituendo, al senso di mistero e all'inquietante carica di allusioni e suggestioni, sentimenti di serena dolcezza, calma spiritualità e spontanea familiarità, ben più affabile per chi osserva. Al posto dei "moti dell'animo" reconditi, Raffaello mise in atto una rappresentazione dell'affettuosità, dove è ormai sfumata anche la tradizionale malinconia della Vergine, che premonisce il destino tragico del figlio. In questo caso poi lo schema a piramide è particolarmente semplificato, con l'effetto di amplificare la massa volumetrica del gruppo, anche grazie al chiaroscuro più intenso.

Maria ha le gambe e il busto ruotate verso destra, mentre con la testa e lo sguardo osserva in basso a sinistra, verso il fulcro dell'azione tra i due fanciulli. Il suo busto emerge sul paesaggio, quasi a dominarlo con la grandezza delle sue delicate forme. Alla massa azzurra del manto si contrappone quella rossa della veste: il rosso rappresentava la Passione di Cristo e il blu la Chiesa, per cui nella Madonna vi era sottintesa l'unione della Madre Chiesa con il sacrificio di suo Figlio. Nella sinistra tiene un libro in mano (da cui l'epiteto Sedes Sapientiae), in cui legge le profezie sul destino del figlio, e il suo atteggiamento richiama quindi l'interruzione della lettura per rivolgere teneramente il suo sguardo verso i bambini. Gesù poggia il piedino su quello della Madonna, riparandosi tra le sue ginocchia, da alcuni letto come una citazione della Madonna di Bruges di Michelangelo.

A Leonardo rimandano anche il bruno del terreno, punteggiato da specie botaniche indagate con cura, e la resa atmosferica del paesaggio di fondo, che si perde nei vapori della lontananza. I volti del Battista e di Cristo recano un'impronta inconfondibilmente leonardesca nello sfumato che li avvolge e nei tratti somatici tratti dallo studio dal vero.

Nei movimenti eleganti, le proporzioni delicate, i volti aulici e gentili, Raffaello raggiunse un equilibrio formale e un ideale di bellezza che certifica la raggiunta maturità stilistica.

 

Pagina Wikipedia


 

Restauro

Si tratta di uno straordinario capolavoro della storia dell’arte italiana particolarmente “sfortunato”, perché appena quarant’anni dopo la sua creazione venne coinvolto, come testimoniato dal racconto di Giorgio Vasari, nel crollo del palazzo in cui era conservato (1548). L’incidente portò l’opera a spaccarsi in più parti, che furono poi rimontate in un antico restauro, mentre due inserti nuovi vennero messi a colmare due mancanze. La sua storia conservativa da allora è stata caratterizzata costantemente da una sovrammissione di materiali, tesa per lo più a nascondere gli antichi guasti. Per accordare infatti alla pittura raffaellesca le integrazioni frutto dell’antico restauro (attribuite da Carlo Gamba a Ridolfo del Ghirlandaio), la tavola è stata via via patinata e verniciata, con l’aggiunta di materiali sempre nuovi, senza che mai fosse eseguita una pulitura.Madonna del Cardellino nel 1998

Quando il dipinto giunse nel Laboratorio di restauro della Fortezza da Basso, in seguito alle prime indagini, si comprese che al di sotto dei materiali aggiunti nel tempo e che sono venuti via via conferendo al dipinto un colore ambrato, molto caldo (tanto da creare il mito del “Raffaello dorato”) erano completamente celati gli splendidi colori della tavolozza di Raffaello, che, al di là delle zone con le rotture, si mostravano sostanzialmente in discrete condizioni.

Il restauro della Madonna del cardellino, è stato al centro di un progetto di studio e di ricerca che ha mirato alla conoscenza il più possibile approfondita della tecnica pittorica utilizzata da Raffaello e delle vicende che l’opera ha subito nel corso dei secoli. Secondo la fondamentale lezione di Cesare Brandi, sappiamo infatti che all’interno dell’opera d’arte si contempera una duplicità di valori: quelli materiali e quelli immateriali. I primi sono attinenti alle materie costitutive dell’opera d’arte stessa, i secondi includono invece tutti quei significati di cui l’opera è portatrice. Il restauro consiste così per prima cosa in un’attribuzione di valore che si realizza in un atto critico, all’interno di un momento di conoscenza di questa doppia serie di significati.

Per giungere a tale conoscenza sono indispensabili molte indagini diagnostiche di tipo fisico-ottico e chimico che vengono di routine condotte all’interno del Laboratorio dell’Opificio delle Pietre Dure, da parte del Laboratorio Scientifico interno o in collaborazione con altri Istituti Universitari e di ricerca. In questo caso, a titolo esemplificativo la Radiografia X ha rivelato chiaramente la tecnica originale di costruzione del supporto e soprattutto i danneggiamenti dovuti al crollo cinquecentesco del Palazzo dei Nasi, la maniera in cui i vari frammenti sono stati ricomposti e le parti aggiunte all’epoca per ricomporre l’unità perduta. La riflettografia IR (realizzata con scanner IR ad alta risoluzione dell’Istituto Nazionale di Ottica Applicata di Firenze) ha poi portato all’individuazione del disegno preparatorio e ha messo in evidenza l’uso dello spolvero come tecnica utilizzata per il trasferimento del disegno dal cartone alla tavola. A indicare chiaramente la presenza di una quantità elevata di vernici alterate al di sopra della superficie pittorica è stata infine la Fluorescenza UV.

Una volta appurato che la pellicola pittorica originale era in buona parte integra, si è dato il via al restauro. Il colore è coinvolto in due tematiche assai complesse: la pulitura (eseguita secondo il metodo che possiamo definire fiorentino) e l’integrazione delle lacune. La pulitura è stata condotta in maniera selettiva, setto il controllo costante del microscopio binoculare, per sorvegliare momento dopo momento le operazioni. I risultati conseguiti sono stati veramente sorprendenti: in alcuni punti la materia non originale, soprammessa e scurita dagli anni, aveva raggiunto anche diversi millimetri di spessore. Rimuovendo tali strati alterati, il colore rinvenuto ha davvero rappresentato una sorpresa: si è recuperata, oltre a una brillantezza stupefacente del lapislazzuli del manto della Madonna e oltre al rosso della veste, una finezza di particolari nel paesaggio del fondo, che per secoli erano stati nascosti (per esempio, alcuni dettagli del prato).

Per quanto invece riguarda l’integrazione pittorica, vista l’estensione delle lacune che per di più tagliavano verticalmente la figurazione, si è preferito un tipo di selezione cromatica a tratteggio molto sottile, per non interferire negativamente con la lettura estetica del dipinto. Bisognava infatti fare in modo che le integrazioni fossero comunque riconoscibili a una visione ravvicinata dell’opera, senza che da una normale distanza l’immagine venisse percepita come frammentaria.

Anche il supporto ligneo è stato rivisto, abbinando il miglioramento dell’andamento della superficie e della tenuta delle giunzioni con il massimo rispetto della materia originale


 

  • Direzione del Restauro
    Marco Ciatti, con la collaborazione di Cecilia Frosinini
  • Restauratori
    Patrizia Riitano (per la parte pittorica); Ciro Castelli, (per il supporto ligneo)
  • Indagini scientifiche
    Laboratorio Scientifico dell'OPD: Mauro Matteini, Daniela Pinna, Giancarlo Lanterna, Carlo Lalli.

Laboratorio di indagini fisiche: Alfredo Aldrovandi, Ottavio Ciappi, Fabrizio Cinotti, con la collaborazione di Annette Keller

Fluorescenza X: ENEA Beni Culturali, La Casaccia, Roma (Claudio Seccaroni, Pietro Moioli)

Riflettografia IR con scanner ad alta risoluzione: INOA, Firenze, Gruppo Beni Culturali diretto da Luca Pezzati

Rilievo tridimensionale conoscopia laser: : INOA, Firenze, Gruppo Beni Culturali diretto da Luca Pezzati (Raffaella Fontana, Maria Chiara Gambino, Maria Grazia Mastroianni, Enrico Pampaloni)

FORS: IFAC-CNR, Firenze (Mauro Bacci, Bruno Radicati, Marcello Picollo)

TAC (Tomografia Assiale Computerizzata): INFN (Istituto Nazionale Fisica Nucleare, sezione di Bologna), Franco Casali, Maria Pia Morigi, Matteo Bettuzzi




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