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Nell'arte il personaggio di Giuditta è ricorrente nell'iconografia dal Medioevo in poi, come eroina femminile che trionfa sulla prepotenza dell'invasore usando la seduzione e la violenza.

È proprio in questa complessità, e di sicuro nell’eco della sua bellezza, che la storia dell’arte l’ha amata e immaginata in tutti i tempi, dal Medioevo fino quasi ai giorni nostri. C’è anche da dire che Giuditta ha messo d’accordo tutti gli artisti sulla scelta del momento da raffigurare, non c’è altra scena del libro rappresentata se non la scena clou: il taglio della testa. L’arma brandita varia dal coltellaccio di Mantegna alla sciabola corta di Donatello, alla spada del Caravaggio, fino al meno realistico spadone, ma siamo certi di una vicinanza d’animo con una storia di vendetta personale e soprusi di Artemisia Gentileschi. È un po’ la versione femminile del giovane David contro Golia, e va di pari passo con Salomè e il Battista, donne dominatrici di teste di uomini che giacciono nel loro argentei piatti.

  • Tanto è stato scritto sulla tela del Caravaggio, che presta al volto di Giuditta quello della sua bella Fillide, proprio lei, la donna per la quale ucciderà Ranuccio Tommasoni, e che gli costerà la fuga da Roma e l’inizio della sua fine, ma questa è un’altra storia! Qui c’è da godere sull’intensità del panneggio rosso, la complicità dell’ultimo sguardo tra carnefice e vittima, la sensualità di quella boccuccia schiusa che ha fatto parlar di sé dal ‘600 a data da destinarsi (1597).
  • Artemisia Gentileschi la pittura la conosceva bene. Figlia d’arte, è stata un pennello tra i più potenti in epoca barocca. L’artista ci dà due versioni del quadro, pressoché identiche se non per il colore della veste della protagonista, dove nella tela a Capodimonte è di un forte blu lapislazzulo, mentre in quella agli Uffizi si tinge di giallo dorato (1612 Napoli – 1620 ca. Firenze). La violenza qui fa da padrona.
  • Giuditta di Cristofano Allori, maestro fiorentino. È custodita alla Galleria Palatina della sua città. Ebbe un successo incredibile già al suo tempo, si iniziò a copiarla per tutta la penisola, artisti da tutta Italia viaggiavano verso la Toscana per vederla, per imparare da lei. L’Allori si ritrae nella testa di Oloferne, mentre alla donna presta il volto della sua amante Mazzafirra, dal grazioso volto ovale. Anche se la protagonista principale di questo quadro è indubbiamente la veste: pomposa, pesante ed elegantissima, offre un esplicito omaggio alla fiorente industria tessile che fece la grande Fiorenza (1612).
  • La tela è datata tra il 1608 ed il 1612, quindi quando tanto Orazio quanto Artemisia si trovavano ancora a Roma. Questo induce i curatori del museo a segnalare la possibilità di una collaborazione della figlia alla realizzazione dell’opera. Ben diversa è l’espressione della Giuditta di Caravaggio colta nel momento in cui, con tutta la sua forza, taglia la testa di Oloferne. Qui la decapitazione è compiuta e l’atmosfera si è come rasserenata. Così, mentre Abra guarda alle spalle della sua padrona per assicurarsi che nessuno irrompa nella tenda di Oloferne, Giuditta la rassicura ponendole la sua mano sulla spalla. Aleggia come un sentimento di vicinanza e di reciproco rincuoramento tra le due giovani donne. Oloferne, invece, ci guarda. E qui Orazio Gentileschi compie una scelta scenograficamente grande. La testa del generale, posta nel cesto per trasportarla a Betulia e mostrarla dalle mura all’esercito assiro, ha gli occhi chiusi ma le labbra invece socchiuse che ci permettono di intravedere i denti.
  • La Giuditta che decapita Oloferne è un dipinto olio su tela (241×167 cm) di Pietro Novelli databile al 1637 circa e conservato nel Museo nazionale di Capodimonte a Napoli.
  • Ignoto - Il dipinto è stato scoperto nei pressi Tolosa nel 2014. Si sospetta che possa trattarsi di un'opera del Caravaggio sinora non individuata ma testimoniata da varie fonti e da una copia di Louis Finson pittore fiammingo per un certo tempo attivo a Napoli, dove la tela del Merisi fu realizzata.