Storia ed evoluzione di una raffigurazione sacra
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STORIA ED EVOLUZIONE DI UNA RAFFIGURAZIONE SACRA
La raffigurazione della Madonna nell’atto di allattare il Bambino, la cosiddetta Madonna del Latte, è un’iconografia cristiana molto particolare e ricorrente nell’arte. Questo tipo di rappresentazione ha origini molto antiche e la sua raffigurazione ha subito numerose variazioni nelle diverse epoche storiche; inoltre è da sempre molto diffusa sia in Italia che soprattutto in Toscana. Le fonti che esaltano l’allattamento si diffusero già a partire dal V secolo con il Concilio di Efeso (431), durante il quale venne finalmente stabilito il ruolo di Maria come madre di Dio e non più solamente di Cristo: «la Santa Vergine è Madre di Dio, essendosi il verbo di Dio incarnato e fatto uomo e per questo concepimento ha unito a sé il Tempio presso lei». L’allattamento da parte di Maria è quindi un atto straordinario, poiché la connota come madre e donna ed è importante come testimonianza del parto.
Tra il VI e VII secolo, nell’Egitto ormai cristianizzato, sono presenti rappresentazioni ufficiali della Madonna del Latte in cui essa è raffigurata mentre allatta Gesù Bambino o in procinto di farlo. Le immagini risultano molto stilizzate, alludendo più che mostrando; questo modello iconografico si diffuse poi dall’Egitto copto alle chiese orientali e nell’arte bizantina, con il nome greco di Galaktotrophousa. Dal mondo bizantino si estesero in seguito anche alla spiritualità etiopica, armena e franco-britannica, nonché negli scritti latini composti dal VI-XII secolo in poi, nei quali ella diviene un modello di castità e umiltà. In Europa e in particolare in Italia, questa rappresentazione si diffuse a partire dal XII secolo, in parte come conseguenza della prima crociata e trovando terreno fertile in tutte quelle aree che, grazie agli scambi commerciali, subirono maggiormente l’influenza bizantina. La Galaktotrophousa, pur essendo un’immagine molto venerata, stilisticamente proponeva una rappresentazione della Vergine con Bambino ormai inadeguata alle nuove esigenze culturali occidentali, troppo distante dalla forma maggiormente umanizzata alla quale si giungerà nel XIV-XV secolo.
Nel Medioevo la situazione cambiò notevolmente, l’istituzione del sacramento del matrimonio avvenuta nel XII secolo, che identificò quindi il ruolo della donna con quello di sposa e madre, anche se sempre subordinata al marito, ebbe il merito di risvegliare l’interesse della Chiesa verso la donna e soprattutto verso l’importante ruolo che essa assumeva nell’educazione e gestione della famiglia. Questa visione nobilitò le donne e, tramite la maternità, le riabilitò per la perduta verginità: il gesto di allattare trovò fondamento nella volontà della Chiesa di auspicare un matrimonio fecondo. L’identificazione tra Madonna col Bambino e maternità produsse un forte incremento del culto mariano, la Madonna che allatta divenne infatti testimonianza visibile del parto e della maternità, nobilitandoli entrambi. Alla fine del ‘200 prese corpo la tendenza da parte della Chiesa di comunicare ai fedeli i contenuti dottrinali in una maniera fortemente empatica, per cui fra il ‘300 e il ‘400 si ritroverà vittorioso il culto di Maria come figura umana grazie a una nuova interpretazione della religione cristiana, non più ieratica e inaccessibile ma umanizzata e sentimentale. Lo sgorgare del latte divenne segno di trasmissione della sapienza e conoscenza da parte della Chiesa verso il popolo. La rappresentazione della Madonna lactans ebbe quindi la massima fioritura da questo secolo fino all’età conciliare quando, rilevata nuovamente la sua sconvenienza, ne verrà proibito l’utilizzo per essere sostituita da altre tipologie raffigurative.
La grande forza di questo tipo d’iconografia fu proprio quella di suscitare particolare devozione nelle donne, in particolare nelle partorienti; durante l’esperienza cruciale del parto e durante i tristi periodi di povertà, queste si rivolgevano alla Vergine pregando di avere il latte necessario per poter sfamare le loro creature. Il culto si diffuse molto in Europa Occidentale dove ancora ritroviamo l’usanza di custodire come reliquie, all’interno delle chiese, ampolle contenenti il latte della Madonna (il Sacro Latte), cui si attribuivano gli effetti miracolosi di restituire il latte alle partorienti che lo avessero perso.
Come abbiamo detto, la devozione della Madonna del latte fu molto viva in Italia, in particolare in Toscana, terra fertile di arte sacra: vi troviamo infatti numerosi santuari sorti spesso in concomitanza con le antiche fonti lattaie, legate a culti precristiani, secondo i quali la terra e l’acqua erano evidenti simboli di fertilità; quindi per diventare fertili o per avere latte vi si poteva bere quest’acqua calcarea, biancastra, simile al colore del latte. L’immagine della Vergine che allatta il Bambino, importantissima per la duplice natura di Maria come procreatrice e vergine, divenne un modello importantissimo poiché elevava la posizione della donna sia nel ruolo civile che religioso. La sua raffigurazione, che fosse in trono, in Umiltà, oppure a terra (da cui Madre Terrena), ebbe fra Trecento e Quattrocento molta diffusione in tutta la Toscana e in particolar modo nelle città di Firenze e Siena. In queste due importanti città, questo modello fu elaborato ampiamente sviluppando esempi di puro lirismo: affettività e tenerezza tra Madre e Figlio si contrapposero ai precedenti modelli bizantini rigidi e stilizzati; lo sfondo del dipinto s’illuminò generalmente d’oro; la Vergine venne spesso rappresentata seduta in trono e rivestita da magnifici drappi, simbolo della sua regalità, accompagnata da angeli e Santi scalati in profondità; il seno venne raffigurato scoperto e il bambino si agita spesso come fosse un vero infante. Queste rappresentazioni trasmettono contemporaneamente un senso di sacralità e di umanità straordinario, poiché lo spettatore si rende conto di essere innanzi a un atto così naturale ma allo stesso tempo inviolabile e sacro.
Nel Trecento, gli artisti abbandonano la rappresentazione stilizzate per ricercare una maggiore naturalezza delle figure delle pose. Un vertice di questo periodo è rappresentato dalla Madonnadi Ambrogio Lorenzetti, artista che meglio ha interpretato il ruolo di Maria come madre. Pittore senese, attivo nella prima metà del ‘300, con il suo stile, lontano dal realismo giottesco, ha creato le Madonne più affettuose e tenere dell’epoca. Ambrogio è riuscito a cogliere il momento più tenero ed originale del rapporto madre-figlio che stabiliscono un' affettuoso gioco di sguardi, la Madonna non è più colta in modo frontale e ieratico come si può vedere ammirando la sua "Madonna del Latte" dipinta intorno al 1320 ca.
In scultura, notevole è la Madonna del Latte di Andrea Pisano, eseguita tra il 1343 e il 1347. Una delle descrizioni più significative ci viene fornita da Igino Benvenuto Supino nel 1904, ma come possiamo leggere ancora errata nell’attribuzione: “… Niun altro lavoro di Nino raggiunge infatti la perfezione di questa mezza figura, derivata evidentemente dal vero: le estremità sono condotte con accurato studio e il volto oblungo e un po’ depresso della Vergine contribuisce a dare un’espressione più intensa alla fisionomia; la bocca semiaperta, con gli angoli sollevati, dà l’illusione del respiro un po’ affannoso, e par che nasconda, nella contrazione forzatamente sorridente del volto, il dolore che prova la madre nell’allattare”.
Nello stesso periodo lavora anche lo scultore Nino Pisano, figlio di Andrea, l’autore dei rilievi del campanile di S. Maria del Fiore e capomastro del Duomo di Orvieto. Convenzionali sono anche gli atteggiamenti e le espressioni che rendono superficiali le sue numerose Madonne. Tra queste si distingue però la "Madonna del Latte" della chiesa di S.Maria della Spina a Pisa.
Nel ‘400, alla rappresentazione della Madonna del Latte si associarono nuovamente concetti preesistenti quali lo sgorgare del latte come segno di trasmissione della sapienza: San Bernardo da Chiaravalle diffuse il suo culto sostenendo di aver ricevuto il latte di Maria, simbolo di divina conoscenza e cibo dell’immortalità. L’affinità fra la Chiesa e il Divin Bambino fu esaltata dalle maestose pale d’altare che comparsero numerose in questo periodo ritraendo la coppia madre-figlio nella sacra conversazione. L’umanesimo influì molto sulla rappresentazione delle Madonne, dando loro un aspetto troppo umano, non a caso il Concilio di Trento (1563) fece un passo indietro proibendo «di dare alle sante immagini attrattive provocanti». A seguito delle norme tridentine la Madonna non poté più essere rappresentata con il seno scoperto poiché una tale nudità non poteva essere tollerata nella Madre di Dio. Questa negazione però fu clamorosamente contraddetta dalle varie rappresentazioni di santi e sante, raffigurati in estasi mistica, con i loro corpi mezzi nudi e con fremiti tutt’altro che spirituali.
In un altro contesto si muove invece la “Madonna Lucca” di Jan van Eyck (Museo di Francoforte). La Madonna viene detta Lucca perché nel XIX secolo faceva parte della collezione di Ludovico di Borbone, duca di Parma e Lucca. La critica data l’opera al 1436.
Tra le Madonne del Latte del XV secolo va ricordata anche l’opera dell’unico artista degno di nota che il Lazio ha avuto in quegli anni, Antoniazzo Romano. Attivo soprattutto in patria, ha lasciato molte opere tra le quali "La Madonna del Latte" di Rieti, databile alla fine del XV sec.
Ecco la Madonna del Latte di Andrea Solario (Milano 1470 ca. – 1524). Nella sua opera, meglio conosciuta come “La Madonna dal cuscino verde” (1507-Museo del Louvre), madre e figlio sono soli, il loro legame è sottolineato dall’intenso scambio di sguardi.
Al celebre Leonardo Da Vinci, invece, è stata attribuita una Madonna del Latte, la “Madonna Litta”, che per una parte della critica sembrerebbe però essere più opera di un allievo, il Boltraffio.
Nel Cinquecento continua la produzione di Madonne del Latte, basti pensare alla Madonna del Durer, morbida e “burrosa” dei primi del ‘500 del Kunstistoriche Museum di Vienna.
La "Madonna del latte" di Girolamo Giovenone del 1516.
Anche Michelangelo si cimentò con questo tema, dandone però un’interpretazione personalissima. Nel 1521, l’artista riceve l’incarico di decorare la Sacrestia Nuova della Chiesa di S. Lorenzo per realizzare la cappella medicea. Tra le sculture da lui progettate ed iniziate, troviamo una Madonna che allatta suo Figlio, detta “Madonna Medici” .
Una raffinatissima interpretazione è quella che dipinge Correggio nel 1524. Il dipinto deve il suo fascino all’estrema “grazia” e naturalezza con cui tratta un tema altrimenti banale, quale l’incontro fra il Bambino e un piccolo angelo che gli porge un ramo di bacche rosse, allusione alla Passione futura. L’immagine è costruita secondo una seducente diagonale che è marcata dal braccio sinistro del Bambino. Il movimento estremamente naturale di quest’ultimo, che pare quasi scivolare sulle ginocchia della madre, ricorda la Madonna della Cesta con cui condivide un’analoga freschezza narrativa e la sottile capacità di descrivere il rapporto affettuoso fra la giovanissima Vergine e il Bambino. Per altri versi l’opera si avvicina alla Madonna di Casalmaggiore rappresentando forse un prodotto successivo nella riflessione su temi affini in piccolo formato. La beatitudine della luce, la tenerezza degli incarnati, i sorrisi, la soffusione dorata dei capelli, la musicalissima fluenza dei panni, rendono gaudiosa questa scena di intimità familiare ma non nascondono il conflitto sacro che contiene. Correggio riuscì a figurare ciò che è divino attraverso una toccante umanità, con l’attitudine della Vergine e la stupenda infantilità dei due bambini.
In altri casi la Vergine è rappresentata assieme a personaggi della religione cristiana differenti da Gesù Bambino, come santi o alti prelati. In queste composizioni il latte fuoriesce dal seno della Madonna nella forma di un unico getto o di singole gocce riversandosi direttamente nella bocca del personaggio.
L’iconografia della Madonna del Latte decadde con il Concilio di Trento, i cui dettami imposero ai vescovi di eliminare o ritoccare tutte quelle immagini ritenute sconvenienti e fuorvianti.
Nel Seicento invece, si assistette al trionfo della carnalità ma la Vergine divenne una pia immagine di castità e purezza, l’iconografia della Madonna del Latte venne proibita, non soltanto perché moralmente pericolosa, dato che poteva attrarre i fedeli per via della nudità, ma anche a causa della sua origine tratta dai vangeli apocrifi, messi all’indice dalla Chiesa. Il tema della Madonna del Latte continuò comunque a essere rappresentato, soprattutto grazie alle committenze private, meno soggette a certi controlli dogmatici. Un soggetto così fortemente legato al culto popolare poté quindi sopravvivere, seppur circoscritto alla devozione familiare.
Ecco la “Madonna con bambino” della famosa pittrice Artemisia Gentileschi (1610-1612).
Con il Seicento la Chiesa Cattolica ha nuovamente riaffermato la sua autorità in quasi tutta l’Europa. È nuovamente trionfante e all’immagine della madre affettuosa si preferisce quella della Regina dei Cieli. Le Madonne seicentesche tornano in cielo, avvolte da nubi dorate ed angeli. Esistono comunque delle eccezioni, la devozione popolare richiede ancora questo soggetto, ne sono un esempio le Madonne dipinte da Orazio Gentileschi, tra le quali ricordiamo la Madonna che amorevolmente allatta il suo Bambino durante "Il Riposo della fuga in Egitto" (1625-26 Kunsthistoriches Vienna).
Ecco l'opera “La Madre” del Cecioni (1880 ca. G.N.A.M. Roma). L’artista mostra una donna, possente, che tiene in braccio il figlioletto che si agita, e gioca con lui. Il seno turgido appare dalla scollatura, forse ha allattato o lo deve ancora fare.
La “Maternità” di Vitelli, riproduzione collocata al piano nobile della sede del Ministero delle Salute in lungotevere Ripa ex sede dell’Opera Nazionale Maternità ed Infanzia (O.N.M.I.).
In conclusione, possiamo lecitamente affermare che il culto della Madonna del Latte ha avuto una notevole fortuna poiché, traendo origine dalle reminiscenze di antichi culti sulla fecondità, li ha assorbiti nella femminilità della Madonna, ammantando di sacralità la quotidianità dei rapporti affettivi, sempre presenti concettualmente ma finora assenti iconograficamente.
Le prime rappresentazioni
L'iconografia è risalente all'Antico Egitto, epoca in cui erano diffusissime le immagini della dea Iside intenta ad allattare il figlio Horus e il cui culto durerà ancora a lungo intrecciandosi con il Cristianesimo. Addirittura molte statue di Iside furono ribattezzate o venerate come Madonne originali.[2]
Le prime rappresentazioni iconografiche ufficiali della "Madonna del Latte" si ritrovano nell'Egitto ormai cristianizzato del VI o VII secolo dopo Cristo, essa è ritratta mentre allatta Gesù Bambino o in procinto di farlo. Sono immagini molto stilizzate che soprattutto alludono più che mostrare. In questi casi la composizione è una variante dell'iconografia della Madonna col Bambino. Dall'Egitto copto ebbero poi ampia diffusione presso le chiese orientali nell'arte bizantina, con nome greco di Galaktotrophousa[3]. Da qui si diffuse poi, nei secoli seguenti, anche in Occidente. Tale tipologia di Madonne del Latte divenne molto popolare nella scuola pittorica toscana e nel Nord Europa a partire dal Trecento.
Nell'Europa occidentale con il culto si diffuse inoltre l'uso di custodire nelle chiese come reliquie ampolle contenenti il latte della Madonna (il Sacro Latte), cui si attribuivano gli effetti miracolosi di restituire il latte alle puerpere che lo avessero perso.
Alla ricerca di rappresentazioni realistiche
Però è nel primo Trecento che la rappresentazione iconografica della "Madonna del latte" perde le proprie caratteristiche stilizzate a favore di una rappresentazione più realistica. Da alcuni critici l'opera di Ambrogio Lorenzetti è considerate ai vertici di questo periodo[3]. Nell'opera di Lorenzetti la Madonna perde la frontalità tipica delle icone bizantine ed è rappresentata rivolta verso Gesù bambino. Lo stesso avviene con il Bambino che volge lo sguardo anche verso l'osservatore[3]. Secondo Leo Steinberg l'esposizione del seno e la rappresentazione realistica del bambino "forniva ai credenti l'assicurazione che il Dio attaccato alla mammella di Maria si era fatto uomo, e che colei che sosteneva il Dio-uomo, nella sua pochezza, si era garantito infinito credito in Cielo."[4]. L'umanizzazione della Madonna e del bambino incontrò il favore dei fedeli e la sacralizzazione dell'atto di allattare un bambino convinse le donne ad identificarsi maggiormente coinvolgendole anche emotivamente. Il culto della Madonna del Latte si diffuse in tutta Europa e soprattutto nelle campagne dove i contadini le attribuirono una forte valenza simbolico-taumaturgica attribuendole anche svariati miracoli.
Per circa due secoli numerosi furono gli artisti famosi che si cimentarono nella sacra rappresentazione, sono esempi le seguenti opere:
- Sconosciuto, Madonna del Latte
- Leonardo da Vinci, Madonna Litta
- Jean Fouquet, Dittico di Melun
- Robert Campin, Madonna del parafuoco
- Jan van Eyck, Madonna di Lucca
- Gerolamo Giovenone, Trittico Raspa
- Andrea Pisano e Nino Pisano, Madonna del Latte
- Correggio, Madonna del Latte e un angelo
- Jaume Serra, Madonna di Tobet
- Civico di Rieti, Madonna del Latte
In altri casi la Vergine è rappresentata assieme a personaggi della religione cristiana differenti da Gesù Bambino, come santi o alti prelati. In queste composizioni il latte fuoriesce dal seno della Madonna nella forma di un unico getto o di singole gocce riversandosi direttamente nella bocca del personaggio. Ne sono esempio:
- Pedro Machuco, Vergine e le anime del Purgatorio, 1517, Museo del Prado
- Alonzo Cano, Visione di san Bernardo, 1650, Museo del Prado
Presso il Santuario della Madonna del Sangue in quel di Re, comune della provincia del Verbano-Cusio-Ossola, è conservato un dipinto della Madonna del latte, che fu oggetto di un evento miracoloso nel 1494: un piccolo affresco della Madonna del Latte, colpito da una pietra, iniziò a sanguinare.
La Controriforma e il declino dell'iconografia
Il Concilio di Trento, iniziato nel 1543, con il decreto: "De invocatione, veneratione, et reliquiis sanctorum et sacris imaginibus"[5] definì la posizione della Chiesa riguardo alle iconografie devozionali.
Tra gli scopi di questo decreto vi era il voler evitare immagini di natura sensuale o percepite come tali dalla morale dell'epoca. La Riforma cattolica tridentina annoverò tra queste immagini sconvenienti, che si riteneva potessero fuorviare il fedele, le rappresentazioni di Maria a seno scoperto poiché accusate di distogliere i fedeli dalla preghiera. Fu demandato ai vescovi il compito di valutare le varie rappresentazioni e di decidere se queste dovessero essere ritoccate, oppure rimosse. Nella diocesi di Milano fu in particolare Carlo Borromeo a trovare sconvenienti tali immagini molto diffuse in Brianza[6], facendo provvedere in molti casi a coprirle con ritocchi[7]. Alcune chiese intitolate alla "Madonna del latte" mutarono denominazione.[8]
Mentre l'iconografia della "Madonna del Latte" decadeva, per contro la venerazione popolare delle antiche immagini continuò legata al desiderio di maternità[9].