Come si è arrivati ai computer quantistici ?

STORIA DELL'INFORMATICA

Nel corso della storia l’aspetto, il loro uso e il concetto di “computer” sono cambiati notevolmente. 

Dai primissimi algoritmi di calcolo mesopotamici alla primissima macchina moltiplicatrice di Wilhelm Schickard nel 1624 (fig.1) e al Difference Engine, prima macchina programmabile di utilità generale (fig.2), il dubbio su quale possa essere stato il primo computer della storia non può non aver sollecitato le nostre menti. 


E nonostante quale possa essere la risposta ad essa dobbiamo ad Alan Turing, uno dei padri dell’informatica e uno dei più grandi matematici del 900, l’esistenza dei computer per come gli si intende oggi. Grazie alla sua macchina teorica ideata nel 1936 divenuta la base per ogni computer moderno (fig.3).


Tutto ebbe inizio quando un matematico tedesco di nome David Hilbert (fig.4) fece una domanda alla comunità scientifica “ Esiste sempre, almeno in linea di principio, un metodo meccanico attraverso cui, dato un qualsiasi enunciato matematico, si possa stabilire se esso sia vero o falso? “.

 

 

A quel punto Turing rispose presentando la sua macchina teorica in grado di leggere dei simboli su un nastro potenzialmente infinito, elaborarli e quindi decidere le prossime azioni da far compiere alla macchina.

Da quel momento si giunge in poco tempo al ENIAC, un calcolatore elettronico considerato l’antenato dei computer digitali (fig.5).



Esso era composto da 18000 valvole termoioniche, 7200 diodi, 1500 relè, e tantissimi altri componenti che portavano il computer ad occupare 180 m2 ed avere un peso di 30 tonnellate. Dimensioni colossali paragonate ai nostri moderni computer se si pensa anche alla scarse capacità che avevano, ma come si è giunti ad avere computer così piccoli e così potenti?

Questo è dovuto grazie anche all’invenzione dei transistor (fig.6) i quali sostituirono le valvole termoioniche.


Essi sono alla base dei moderni computer e bisogna immaginarli come dei piccoli interruttori azionati elettricamente che possono assumere due stati , dove il circuito è aperto e quindi la corrente non passa “0” e dove il circuito è chiuso e quindi la corrente passa “1”. Per questo può assumere soltanto uno dei due stati alla volta e mai entrambi contemporaneamente e quindi viene detto binario.

Come si può ben intuire con più transistor posso creare cose più complesse e con lo stesso intuito si può comprendere che per informazioni molto più complesse si ha bisogno di moltissimi transistor. Così nel corso degli anni le dimensioni dei transistor si sono sempre di più ridotte per farne contenere un numero maggiore possibile arrivando alle dimensioni di 7 nm, vale a dire mille volte più piccolo di un globulo rosso. E con l’evolversi della tecnologia si ha sempre più necessità di rappresentare il maggior numero di informazioni possibile e quindi cosa si fa? Gli si riduce ulteriormente? C’è un problema però, rappresentiamo il nostro transistor ipotetico infinitamente più piccolo delle dimensioni a cui si è giunti oggi come un muro che blocca un flusso di elettroni che vorrebbe attraversare il circuito e quindi con un risultato di “0”.


A queste dimensioni la fisica che conosciamo comincia a non essere più valida ed a verificarsi fenomeni bizzarri come il teletrasporto di elettroni.

Prendendo come esempio il circuito di prima, anche se il transistor blocca il flusso di elettroni essi potrebbero comunque finire dall’altro lato per processi che riguardano la fisica quantistica.

Quindi qual è il prossimo step dell’evoluzione di questi strumenti considerando il limite fisico che l’attuale tecnologia offre? 

Il prossimo passo, a cui molti scienziati lavorano da decenni, consiste nel sfruttare proprio questi processi che riguardano il mondo quantistico. Per cui si smette di parlare di “computer” e si comincia a parlare di “computer quantistico”.

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