Vita e carriera artistica

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David Robert Jones nasce a Brixton (Londra) l’8 gennaio 1947. All’età di 13 anni, ispirato dal jazz del West End di Londra, prende in mano il sassofono e va a lezione da Ronnie Ross. Le prime band con cui suona – Kon-Rads, King Bees, Mannish Boys e Lower Third – gli permettono di muovere i primi passi nell’appariscente mondo del pop e del mod, e nel 1966 è David Bowie, con i capelli lunghi e la voglia di diventare una star. Kenneth Pitt diventa il suo manager, e la carriera di David inizia con una manciata di singoli perlopiù dimenticati e una testa piena di idee. Il successo in classifica arriva soltanto nel 1969, con la leggendaria “Space Oddity” (che raggiunge la posizione numero 5 nel Regno Unito). Nel corso delle sue peregrinazioni musicali alla fine degli anni ’60, il giovane Bowie sperimenta con tecnica mista, cinema, mimo, buddismo tibetano, recitazione e amore. Un primo album, inizialmente intitolato David Bowie e successivamente Man of Words, Man of Music, rende omaggio alle caleidoscopiche influenze della scena artistica londinese, rivelando già un talento compositivo che firmerà alcune delle più belle e indimenticabili pagine del rock... Anche se il resto del mondo ci metterà qualche anno per rendersene conto.

david bowie trucco

Anni '70:

The Man Who Sold The Word è il primo album di David Bowie a essere inciso come entità a sé e rappresenta il primo continuum creativo per l’ascoltatore. L’album esce per la Mercury nell’aprile 1971 quasi in sordina, e quella primavera Bowie va per la prima volta negli USA a promuoverlo. Nel maggio dello stesso anno nasce Duncan Zowie Haywood Bowie, figlio di David e dell’allora moglie Angela.

RCA diventa la nuova etichetta di Bowie e, dopo un viaggio in America a sbrigare la relativa burocrazia, David torna a Londra a incidere due album praticamente uno di seguito all’altro. Hunky Dory nasce da un demo di sei canzoni che aveva indotto l’etichetta a mettere Bowie sotto contratto, e contiene “Changes” e “Life On Mars?”. Quasi contemporaneamente esce The Rise and Fall of Ziggy Stardust and The Spiders from Mars, che diventa subito un classico.

Il 1972 è l’anno in cui Bowie si afferma come superstar di livello internazionale. Dylan Jones, direttore di GQ, definisce così la storica esibizione del 6 luglio 1972 a Top Of The Pops, nel corso della quale Ziggy si materializza inaspettatamente, per la prima volta, in milioni di case cantando “Starman”, singolo di punta dell'album: “Questa è la performance con cui Bowie è diventato una star e il suo personaggio di Ziggy Stardust è entrato nella coscienza nazionale”. Presentato in anteprima a Londra quella primavera, lo show di Ziggy Stardust, la rockstar extraterrestre creata da Bowie, è uno dei più spettacolari e innovativi mai realizzati, che amplia i canoni del concerto rock e innesca un’esplosione glam a livello mondiale.

Mentre la febbre per Ziggy è alle stelle, nell’aprile 1973 esce Aladdin Sane, ispirato alle esperienze vissute da Bowie nel corso della tournée americana. L’album contiene “The Jean Genie”, “Panic in Detroit”, “Drive-In Saturday”, “Cracked Actor” e naturalmente la title track con il frenetico assolo di pianoforte di Mike Garson.  Nell’aprile 1973 si apre una nuova fase creativa: esce l’epico e distopico di Diamond Dogs. Carico di tensione e di presagi, punteggiati dalla graffiante title track e dall’immortale inno glam “Rebel Rebel”, Diamond Dogs presenta uno spessore concettuale in forte contrasto con la disco music che inizia a popolare l’etere. Nell’estate del 1974 David Bowie intraprende il suo più ambizioso tour americano a tutt’oggi, con un’enorme scenografia e tableau vivant. Se quei due album precedenti rivelavano un certo interesse da parte di Bowie per la musica che aveva ascoltato in America, il soul americano filtrato attraverso una sensibilità inglese – e squisitamente Bowie – ben presto diventa più che un semplice tributo. Nel 1975 David esprime appieno questa passione con Young Americans. Disco straordinario, ricco di ritmo e di soul, non contiene solo la hit omonima, ma anche il primo singolo di Bowie a raggiungere la vetta delle classifiche americane: “Fame”, brano nato da una collaborazione improvvisata con John Lennon all’Electric Lady di New York, poi aggiunto all’LP all’ultimo minuto. Young Americans vede anche la partecipazione di un altro talento scoperto da David, Luther Vandross, che presto si affermerà in tutto il mondo come icona dell’R&B. Nel 1977 esce Low, prodotto da Bowie e Tony Visconti in collaborazione con Brian Eno. Primo capitolo della famosa trilogia berlinese, l’album inizialmente disorienta critici e pubblico con canzoni che escono completamente dai precedenti canoni di Bowie. Diverse da qualsiasi cosa mai sentita prima.
Il secondo disco del trittico, Heroes, è dominato da Robert Fripp alla chitarra e presenta un’atmosfera complessiva più ottimistica. Lo si percepisce fin dal primo brano, “Beauty and the Beast”, che cresce sempre di più, così come dai brani rock “Joe The Lion” e “Blackout”, e da “Sons of the Silent Age”, ballad post-punk scura e affascinante. La title track, uno dei più bei singoli di Bowie, è forse una delle canzoni d’amore che hanno fatto la storia della musica. In oltre 6 minuti di pura bellezza dal sapore motorik racconta la relazione proibita tra due amanti vicino al muro di Berlino.

 Lodger, dal titolo particolarmente azzeccato (“pigionante”), esce nel maggio 1979 e completa la trilogia berlinese con un viaggio in musica e testi che si spinge ben oltre l’Europa della Guerra Fredda rispetto ai suoi predecessori.
Per Lodger Bowie non fa nessun tour promozionale, ma la sua partecipazione al Saturday Night Live con tre brani live è una delle più straordinarie e indimenticabili che si ricordino. Coadiuvato dagli avanguardisti newyorkesi Klaus Nomi e Joey Arias, Bowie esegue “The Man Who Sold The World” immobile, in smoking di plastica, all’interno di un gigantesco vaso da fiori, quindi “TVC15” in gonna e tacchi, e infine “Boys Keep Swinging” con la sua testa sovrapposta al corpo di un pupazzo (forse dotato di tutti gli attributi?) grazie alla tecnica del chroma key. Mentre il 1979 sta per volgere al termine, Bowie è di nuovo in studio di registrazione. Iniziano anche le prove per il suo esordio a Broadway nel ruolo di The Elephant Man, che va in scena nel settembre 1980 e riceve recensioni entusiastiche.

Anni '80:

Il primo album di Bowie del nuovo decennio è anticipato da “Ashes to Ashes”, primo singolo con cui Bowie raggiunge la vetta delle chart inglesi. Il brano riesuma il personaggio di Major Tom, conosciuto con “Space Oddity”, e riflette sul suo destino. “Ashes to Ashes” e il successivo singolo “Fashion” sono accompagnati da videoclip memorabili, che contribuiranno a fare la storia dell’allora nascente MTV. Come per Lodger, Bowie non va in tournée per promuovere Scary Monsters... La relativa calma del 1981 è interrotta nel mese di ottobre dall’uscita di “Under Pressure”, brano scritto e inciso da Bowie insieme ai Queen in Svizzera. Inclusa nell’album Hot Space dei Queen l’anno successivo, la canzone diventa a sorpresa una hit mondiale, nonché il secondo singolo di Bowie a raggiungere il numero 1 delle chart inglesi. Il brano conquista la vetta delle classifiche di tre paesi ed entra nella Top 10 in altre nove nazioni. L’aprile 1983 vede un nuovo cambio di scena. Let’s Dance, primo disco di Bowie pubblicato per EMI, diventa in breve tempo l’album di maggior successo della sua carriera. Il disco vende 7 milioni di copie nel mondo e la title track conquista la vetta delle classifiche in oltre mezza dozzina di paesi, seguita da altre due hit che entrano nella Top 10, ovvero “Modern Love” e “China Girl”, brano scritto insieme a Iggy Pop la cui versione era uscita su The Idiot nel 1977. Un mese dopo l’uscita di Let’s Dance, il Serious Moonlight Tour segna il trionfale ritorno di Bowie sui palcoscenici. La tournée supera ogni aspettativa e consacra Bowie come artista in grado di riempire gli stadi di tutto il mondo. Ogni concerto registra il tutto esaurito, comprese le date multiple al Madison Square Garden di New York e al Milton Keynes Bowl in Inghilterra. 

Anni '90: 

Nel 1994 Bowie e Eno si ritrovano a collaborare in studio di registrazione. Il risultato è il concept album Outside, pubblicato nel 1995 come primo lavoro nell’ambito di un nuovo contratto discografico con Virgin Records. Questo progetto complesso esplora la crescente ossessione per la mutilazione del corpo umano come arte e la paganizzazione della società occidentale. Dopo il tour estivo di Outside in Giappone, Regno Unito ed Europa nel 1996, Bowie porta un’intensità diversa con un paio di straordinarie performance acustiche al Bridge Benefit Concert 1996 a San Francisco. Quella stessa estate il biopic Basquiat, film di Julian Schnabel con Gary Oldman, Christopher Walken e Dennis Hopper, vede Bowie interpretare il personaggio da lui immortalato in “Andy Warhol”, canzone del 1972. 

Il 1998 vede il lancio di BowieNet (www.davidbowie.com), il primo Internet service provider creato da un artista, candidato al Wired Award 1999 come Miglior Sito di Intrattenimento dell’Anno.

Nell’ottobre 1999 esce Hours..., uno degli album più autobiografici che David abbia mai realizzato. Per brani dalla forte carica emotiva, come “Thursday’s Child”, “Survive” e “The Pretty Things Are Going To Hell”, Hours... fa leva su un’audace introspezione per esercitare il suo impatto profondamente personale e al contempo estremamente universale.

Anni 2000:

Il nuovo secolo vede David godersi un periodo lontano dai riflettori, interrotto soltanto da una manciata di rare e prestigiose performance live. Per due anni consecutivi si esibisce ai concerti di beneficenza della Tibet House al Carnegie Hall di New York, insieme a celebrità come Philip Glass, Patti Smith, Moby e il compianto Adam Yauch dei Beastie Boys, per sostenere la causa tibetana. David si produce in una performance ogni anno diversa: nel 2001, con Moby alla chitarra, regala una trascinante versione di “Heroes” e una rara esecuzione di “Silly Boy Blues”, brano di ispirazione buddista, mentre nel 2002 propone “Space Oddity” con un nuovo arrangiamento insieme al Kronos Quartet e Yauch al basso.

Non c’è mai un momento di “quiete” nella vita di David Bowie, e in questo periodo David ha l’onore di essere decretato l’artista più influente di tutti i tempi dal New Musical Express. Poco dopo si verifica un evento ben più importante e che gli cambia la vita: la nascita della prima figlia di David e Iman, Alexandria Zahra Jones. Bowie si prende del tempo per godersi la paternità, ma inizia anche a scrivere una serie di brani che costituiranno la base di un nuovo album.

David si trova a New York l’11 settembre 2001 e sostiene la sua città d’adozione con una breve ma intensa performance al The Concert for New York City al Madison Square Garden. Apre lo show con una scarna rilettura di “America”, classico di Simon e Garfunkel, e prosegue con un’energica esecuzione di “Heroes”. Tutti coloro che partecipano al concerto e i milioni di spettatori che seguono la diretta TV si commuovono per i sentimenti espressi nelle due canzoni. 

Anni 2010:

Il 19 novembre 2015 Bowie lanciò il suo nuovo singolo Blackstar, il primo estratto dall'album omonimo e, in seguito, Lazarus, anch'esso accompagnato dal relativo videoclip trasmesso in rete tre giorni prima della morte. Con lo stesso titolo il 12 dicembre debuttò l'omonimo musical scritto e prodotto per Brodway da Robert Fox, per la cui prima teatrale Bowie ha presenziato, compiendo la sua ultima apparizione pubblica.

Due giorni dopo, nella notte tra il 10 e l'11 gennaio, il cantante morì improvvisamente, all'età di 69 anni, in una località non nota ma presumibilmente in una clinica oncologica di New York, dove si ipotizza si sia avvalso di una programmata pratica di eutanasia, a causa dell'irrimediabile aggravarsi di un tumore al fegato, contro il quale aveva combattuto segretamente per circa 18 mesi.

«Ha sempre fatto quello che voleva. E voleva farlo a modo suo, e voleva farlo al meglio. La sua morte non è stata diversa dalla sua vita: un'opera d'arte. Ha fatto Blackstar per noi, è stato il suo regalo di addio. Sapevo da un anno che sarebbe andata così. Non ero preparato, però. È stato un uomo straordinario, pieno di amore e di vita. Sarà sempre con noi. Per ora, possiamo solo piangere.» - Tony Visconti