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Abbiamo visto David Bowie trasformarsi praticamente in qualunque cosa, dando forma alle diverse sfaccettature del suo carattere, da rockstar ad alieno, da tenente colonnello inglese a re dei goblin. Ma lui come si vedeva? Che volto osservava allo specchio? Una toccante testimonianza ci arriva dai suoi numerosi autoritratti, alcuni pensati come studi sui quali Bowie annotava con precisione i diversi trucchi da applicare sul suo viso.

L’autoritratto è la più narcistica delle rappresentazioni ma anche la più intima, dove ci si può rendere irreali o scavare nel più profondo inconscio. In entrambe le direzioni c’è comunque una rivelazione di sè, in termini di ciò che si è voluto nascondere (magari esaltando la propria immagine) e ciò che si è deformato.
Un modo diverso, il più privato e profondo, di conoscere David Bowie.

Il primo autoritratto risale al 1978, gli anni del Duca Bianco, e si ispira alla copertina del celebre Heroes pubblicato l’anno prima.

Da vari autoritratti a carboncino persino quadri astratti da cui evince un lato oscuro che non ha smesso di mostrare in molti momenti della sua vita.

Le sue opere rispondono a ritratti e autoritratti dalle linee marcate, decise e dai colori importanti. Ma con il passare del tempo, Bowie si è avvicinato all'astrattismo di evocazioni cromatiche dai confini indefiniti. Proprio come quell'immaginario spaziale tanto caro al musicista e incarnato dal simbolismo di Ziggy Stardust. 

Alcuni ritengano sia proprio il patinato alieno ad aver ispirato le opere dal 1995 al 1997 dell'artista, intitolate Dead Heads o semplicemente D Heads: 47 opere enigmatiche, misteriose e che ispirano un'interpretazione libera e aperta. I modelli ritratti andavano da membri della band, ad amici, a conoscenti, ma c’erano anche alcuni autoritratti.
Tra queste ricordiamo DHead XLVI, che risponde alla numerazione romana casuale con cui venivano indicate le opere di Bowie di quel periodo. Una perla rara della collezione Bowie che, tuttavia, è stata acquistata l'estate scorsa a un'asta di beneficenza di Ontario, Canada per soli 5$ canadesi, poco meno di 4 euro, che era stata ritrovata di recente in una discarica in Canada, è stata battuta all’asta per 108.120 dollari canadesi (circa 73.000 euro) dalla casa Cowley Abbott di Toronto. La provenienza del dipinto è stata ulteriormente autenticata da Andy Peters, collezionista di autografi di Bowie dal 1978. Il dipinto era stato acquistato per 5 dollari canadesi da un privato ad una vendita di beneficenza. Secondo la casa d’aste il  dipinto è stato scoperto da una donna, che intende rimanere anonima, in un centro di raccolta di cose usate fuori dalla discarica municipale di Machar, a circa 300 km a nord di Toronto. La tela riporta anche il nome di Bowie, la data 1997 e un’etichetta con descrizione del dipinto come “acrilico e collage di computer su tela. Alla vista si propone come un quadro di piccole dimensioni, 20x25 cm, un 'ritratto semi-astratto' realizzato con una tecnica mista 'acrilico e collage al computer, intessuto di sfumature rosso-marroni e azzurro-verdi e con la firma dell'autore e la data impresse sul retro.

 

Lui stesso ha espresso il suo dubbio nel renderle pubbliche:

Non sono sicuro del motivo per cui ho fatto quella scelta, e ancora oggi non sono sicuro che non sia stato un errore... a quel punto, dipingere per me era privato e riguardava davvero la risoluzione dei problemi. Scoprirei che se avessi qualche ostacolo creativo nella musica su cui stavo lavorando, tornerei spesso a disegnarlo o dipingerlo. In qualche modo l'atto di cercare di ricreare la struttura della musica nella pittura o nel disegno produrrebbe una svolta.

 

In seguito a un viaggio che ha fatto in Sud Africa dove ha appreso una storia su come le prime tribù che hanno visto l'uomo bianco presumevano di essere state visitate dai loro antenati, poiché nella loro mitologia appaiono con una forma spettrale in bianco, presentò anche una sua mostra alla Gallery di Londra, intitolata New Afro/Pagan and Work: 1975-1995.